23 maggio 2012

Educare all'autonomia

Abbiamo detto, nel post precedente, che ciò che essere genitori significa generare un sistema di pensieri. E che questo sistema di pensieri sia una persona a sé stante con una sua propria libera volontà risulta chiaro non appena inizia a camminare da solo.

La sfida per il genitore è quella di crescere figli autonomi. Autonomo è l’opposto di dipendente ma significa anche, dal greco αυτοσ (da solo) e νόμος (regola, legge), che sa darsi regole proprie. Altrimenti detto che non ha più bisogno di sentirsi dire cosa fare, che gli vengano date istruzioni.
L’autonomia che vogliamo per i nostri figli è però accompagnata dalla responsabilità: mi auguro che mio figlio sappia ciò che fa. Almeno da adulto.
L’educatore, quindi, ha l’obiettivo di formare una persona che sia in grado di agire per il meglio.
“Agire per il meglio” in realtà non significa molto. Ci sono tanti modi per agire bene e tanti modi per agire male. La perfezione, invece, è assoluta e unica, ma non è di questo mondo.
Non siamo persone a una sola dimensione: i nostri figli non esistono soltanto in rapporto al profitto scolastico. Ci accorgiamo che è importante tenere conto di altre caratteristiche personali che entrano in gioco quando ci si costruisce il futuro. Si può essere cooperativi, altruisti, entusiasti… si può essere riflessivi, sensibili, sportivi.
Ci sono tante qualità da scoprire e valorizzare senza farsi scoraggiare dai difetti o dalle insufficienze, non solo scolastiche, di quei futuri adulti che abbiamo messo al mondo.
All’educatore è richiesta un po’ di fantasia ed un po’ di esperienza, per saper cogliere e non ignorare le qualità che rendono uniche e diverse le persone.

La prospettiva rimane quella dell’autonomia.  
Occorre conoscersi per compiere le scelte migliori. Pensiamo alla scelta della scuola superiore. Molti tra i genitori e gli insegnanti riferiscono di non vedere dei ragazzi pronti per una scelta che li impegnerà per i cinque anni successivi.  A quattordici anni, non tutti sono ancora ben consapevoli dei loro punti di forza e delle loro debolezze e non hanno, quindi, la capacità di immaginarsi con realismo come adulti in una professione. Semplicemente, non si sono ancora sperimentati abbastanza, né nella vita, né nella scuola e non hanno quella conoscenza del mondo che potranno avere più avanti.

Conoscersi significa perciò sapersi valutare. Confrontarsi con gli altri in questo senso è fondamentale per sapere in che cosa si è diversi dagli altri, per avere un’idea di se stessi che non sopravvaluti né sottovaluti quello che oggi siamo.
E’ giocando a pallavolo che capirò se quella diventerà la mia strada o se rimarrà, anche da grande, un’attività del tempo libero. Studiando insieme ai miei amici mi potrei accorgere che Storia e Italiano mi piacciono, in generale, più che al resto della classe. Non mi confronterò per vedere se io sono più brava, o meno, per sentirmi migliore, ma guarderò agli altri, semplicemente, perché troverò tanti spunti e riferimenti diversi per valutare me stesso.

E quando saprò valutare che stasera ho bevuto un troppo, sarò anche responsabile verso me stesso e chiamerò un taxi per farmi portare a casa. Quando saprò valutare che con quel ragazzo non ho più di tanto in comune, deciderò di allontanarmene e non uscirci più.
L’obiettivo è  che le scelte di mio figlio o di mia figlia siano motivate e non casuali.